Avvocato Paolo Spanu
La Protezione Sussidiaria
Un interessante applicazione dell'istituto da parte del Tribunale di Roma, a favore delle donne provenienti dallo Stato di Edo in Nigeria.

N. R.G. 3434/2018
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA
SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE
Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati:
dott.ssa Luciana Sangiovanni Presidente
dott.ssa Angela Salvio Giudice
dott.ssa Cristiana Ciavattone Giudice relatore
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3434/2018 promossa da:
I.G. nata in NIGERIA , con il patrocinio dell’AVVOCATO PAOLO SPANU;
RICORRENTE
contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;
RESISTENTE-CONTUMACE
con l’intervento del Pubblico Ministero
OGGETTO: riconoscimento protezione internazionale
Con ricorso depositato il 12.01.2018 I.G. ha impugnato il provvedimento emesso il 3.05.2017 e notificato il 13.12.2017 con il quale la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma le ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero, in via subordinata, il diritto alla protezione sussidiaria o al rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art.5, comma 6, del d.lgs. n.286/1998.
Parte resistente, sebbene ritualmente citata, non si è costituita in giudizio.
Rilevata la completezza delle informazioni rese dalla parte ricorrente nel corso dell’audizione dinanzi alla Commissione Territoriale; considerato che la difesa, richiamata la vicenda personale del ricorrente, non ha introdotto ulteriori temi di indagine né ha allegato fatti nuovi; rilevato, infine, che sono stati reperiti d’ufficio dal giudice gli elementi di riscontro in ossequio al principio di cooperazione, il Collegio ritiene di avere tutti gli elementi necessari ai fini della decisione, senza necessità di fissare udienza ed intervistare nuovamente parte ricorrente.
***
L’art.1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata dall’Italia con l. n.722/54, definisce rifugiato “chi, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche” ha dovuto lasciare il proprio paese e non può per tali motivi farvi rientro.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza (cfr. Cass. n. 26822/07; n. 19930/07; n. 18941/06), la situazione persecutoria rilevante è quella di chi, per l'appartenenza ad etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita, rischi verosimilmente, nel paese di origine o provenienza, specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità fisica o libertà personale. La valutazione demandata quindi al Giudice del merito, adito in opposizione al diniego della competente Commissione, si deve fondare sulla verifica della ricorrenza di entrambi i dati oggettivi, quello afferente la condizione socio politica normativa del Paese di provenienza e quella relativa alla singola posizione del richiedente (esposto a rischio concreto di sanzioni); quindi, la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente, così come la mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche, non sono elementi di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello status reclamato, essendo invece necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive esistenti nello Stato di appartenenza, siano tali da far ritenere la sussistenza di un pericolo grave per l’incolumità della persona.
Inoltre, anche il D.lgs. 19.11.2007 n. 251, di attuazione della direttiva 2004/83 CE per l’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, all’art.3, nel dettare i criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale, impone al richiedente di specificare la situazione individuale e le circostanze personali dalle quali desumere se gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.
Alla luce del quadro normativo così delineato, la stessa previsione costituzionale di cui all’art.10, che garantisce il diritto di asilo a chiunque provenga da un Paese in cui non sia consentito l'esercizio delle libertà fondamentali, indipendentemente dal fatto che abbia subito o tema di dover subire persecuzioni, non ha più alcun margine di residuale applicazione, poiché “il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto di rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. n.251 del 2007 ed all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n.286 del 1998” (Cass. ord. n. 16362 del 4.08.2016).
Venendo al caso in esame, la ricorrente ha dichiarato di essere nata nel villaggio di Ogrmmwenyi, nell’Edo State, di aver perso entrambi i genitori e di aver frequentato la scuola fino alle secondarie, per poi iniziare a lavorare come commerciante; di essere fuggita dalla Nigeria ad ottobre del 2016 perché la famiglia del marito, subito dopo la sua scomparsa, l’aveva minacciata di morte, le aveva sottratto suo figlio e le aveva sequestrato i soldi, impedendole di proseguire la sua attività di commerciale; ha riferito infatti di essersi rifiutata di rispettare una loro antica tradizione, che consisteva nel lavare la salma del marito con dell’acqua per poi berla, perché alcune persone le avevano detto che facendolo sarebbe morta o diventata pazza; con i pochi soldi che le erano rimasti si era rivolta ad un trafficante che l’aveva condotta in Libia, dove aveva incontrato un suo conoscente nigeriano che si era offerto di prestarle i soldi necessari ad imbarcarsi per raggiungere l’Italia.
Appare evidente che la vicenda narrata esclude alla radice la configurabilità dei motivi di persecuzione e discriminazione di cui alla citata convenzione di Ginevra, atteso che, da un canto, i motivi di persecuzione non risultano riferibili ad alcuna delle categorie enucleate dall’art.8 d.lgs. 19.11.2007 (razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale).
Nel caso in cui non siano allegate e provate le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ai sensi della direttiva comunitaria 2005/85/CE e del decreto legislativo n.251/07, deve riconoscersi la protezione sussidiaria al richiedente la protezione internazionale che si trovi fuori dal paese di origine e non possa ritornarvi in quanto possa andare incontro a danni gravi ed ingiustificati quali la tortura o altre forme di trattamenti degradanti ai sensi dell’art.14 lettere a) e b).
Per la valutazione della domanda della richiedente, deve aversi riguardo, tra l’altro, alle vicende politiche del paese di origine al momento della decisione giurisdizionale, al fatto che l’istante abbia già subito persecuzioni, alla sua situazione individuale (il passato, l’età, il sesso) e a qualsiasi attività esercitata successivamente alla fuga dal paese di origine.
E’ altresì onere del giudice “avvalendosi dei poteri officiosi d'indagine ed informazione indicati nell'art. 8 del d.lgs. n. 25 del 2008, non limitarsi ad un accertamento prevalentemente fondato sulla credibilità soggettiva del ricorrente ma verificare la situazione del paese ove dovrebbe essere disposto il rientro” (Cass. Ord. n. 17576 del 27/07/2010).
Invero, il Giudice della protezione internazionale non può fermarsi alla valutazione delle sole ragioni che spinsero lo straniero a lasciare il Paese di provenienza, dovendo, al contrario, effettuare un esame dei fatti prospettati anche alla luce delle condizioni sociopolitiche generali di suddetto Paese, in ossequio al disposto dell'art. 3, c. 3, lett. a, d.lgs. 251/2007, al fine di escludere la sussistenza di rischi in caso di rimpatrio (cfr. Cass. n.16356/17; n.15192/2015).
Occorre dunque tener conto della condizione di estrema vulnerabilità in cui la richiedente versava nel paese di provenienza -avuto riguardo al suo luogo di nascita, l’Edo State- per la mancanza di una rete familiare di riferimento, la scarsa alfabetizzazione, l’assenza di un lavoro e la giovane età, valutata unitamente alla sua condizione femminile, notoriamente di debolezza e di inferiorità in uno Stato quale appunto la Nigeria, in cui le donne e le ragazze sono soggette a traffico sessuale in tutta Europa, dove sono sottoposte alla prostituzione forzata, mentre il governo nigeriano non soddisfa pienamente gli standard minimi per l'eliminazione del traffico.
“Le vittime della tratta avviate alla prostituzione in Europa appartengono in grande maggioranza al gruppo etnico degli edo (chiamati anche bini) […], ma si segnala anche la presenza di donne yoruba, igbo e dei gruppi etnici del delta del Niger […]. Anche la maggior parte dei trafficanti nigeriani è costituita da edo dello Stato di Edo[…]I dati che emergono da studi più recenti indicano un’età media compresa tra 17 e 28 anni, con una percentuale elevata di 18-20enni […]. Il reclutamento di minori, tuttavia, è in aumento perché le donne adulte, soprattutto nelle città, tendono ad essere più consapevoli dei rischi a cui le espone la tratta di esseri umani, mentre le ragazze giovani si fanno allettare più facilmente dalle promesse dei reclutatori, che prospettano la possibilità di arricchirsi in poco tempo” (v. report di Ottobre 2015 di EASO2 dal titolo, Nigeria-La tratta di donne a fini sessuali‟ al punto 1.4 profili delle donne trafficate).
La perdita del sostegno della famiglia o della comunità sembra essere un tratto comune a molte donne trafficate. In uno studio condotto nel Regno Unito e in Nigeria sulla tratta delle donne nigeriane (2012), Cherti e al. osservano: “Le persone trafficate del nostro campione hanno avuto vite diverse ma hanno in comune un’esperienza scatenante o nell’infanzia, ad esempio l’essere rimaste orfane, che le ha portate ad essere prive dell’appoggio della famiglia o della comunità. A causa dell’accesso limitato all’istruzione, al lavoro o alla protezione dalla violenza, non erano in grado di mantenersi ed erano vulnerabili alle offerte di “aiuto” fatte dai trafficanti […]”. “In genere le donne trafficate provengono da famiglie numerose, povere, disoccupate o sottoccupate, che si trovano ad affrontare difficoltà economiche […]”. (v. rapporto EASO cit.)
“La maggior parte delle vittime viene da Benin City, capitale dello Stato di Edo […], oppure dai villaggi vicini […]. Il reclutamento nelle aree rurali sembra più comune oggi che agli albori del fenomeno della tratta. Nelle aree rurali povere della zona di Benin City, igenitori tendono spesso a fare pressione sulle figlie giovani affinché contribuiscano al sostentamento della famiglia […]. Le donne reclutate nelle aree rurali riferiscono di essere state portate in grandi città, in particolare a Lagos e Benin City […]. Secondo quanto riportato da Plambech, «si stima che fino all‟85 % delle nigeriane che vendono sesso in Europa sia partito da Benin [City], pur non essendo necessariamente questa la città di origine delle donne (Carling 2005; Kastner 2009; OIM 2011b). In effetti, in alcune zone di Benin [City], una città di circa un milione di abitanti, è difficile trovare una famiglia allargata in cui non vi sia una persona, in genere una donna, migrata in Europa (Kastner 2009)” (v. rapporto EASO).
“Nel 2009, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) ha stimato in 3800-5700 il numero annuo di vittime della tratta a fini sessuali provenienti dall’Africa occidentale, regione in cui la Nigeria rappresentava il principale paese di origine […]. Più recentemente, nel rapporto globale sulla tratta di persone del 2014, l’UNODC osserva: «La tratta di giovani donne dalla Nigeria in Europa a scopo di sfruttamento sessuale è uno dei flussi di tratta più persistenti. Nel periodo 2007-2012, le vittime nigeriane hanno rappresentato stabilmente più del 10 % del numero totale di vittime individuate in Europa occidentale e centrale, il che fa di questo flusso transregionale il più importante di questa sottoregione» […]. Durante il periodo di riferimento 2010-2012 (tre anni), Eurostat stima che la nazionalità nigeriana sia stata tra le prime cinque nazionalità non UE in termini di numero assoluto di vittime registrate della tratta di esseri umani nell’Unione europea […] L’Italia e la Spagna sembrano essere le destinazioni principali delle nigeriane trafficate …” (EASO - European Asylum Support Office: Nigeria; Sex trafficking of women, October 2015 (available at ecoi.net) http://www.ecoi.net/file_upload/90_1445949766_2015-10-easo-nigeria-sex-trafficking.pdf).
La complessiva vicenda personale della ricorrente e la sua condizione di fragilità rendono più che verosimile il pericolo, in caso di rientro in patria, di cadere vittima di tratta, di abusi o maltrattamenti, atteso il particolare sviluppo della prostituzione proprio nell’Edo State e tenuto conto, comunque, della condizione femminile nel paese di provenienza, notoriamente priva della necessaria tutela per le specificità di genere, e dei conseguenti trattamenti degradanti la dignità della sua persona.
Deve essere pertanto riconosciuta alla ricorrente la protezione sussidiaria, ai sensi della lettera b) del citato art.14 d.lgs. 251/2007.
L’ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato consente di dichiarare le spese di lite integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione collegiale, così dispone:
- riconosce a I.G. , nata in NIGERIA , la protezione sussidiaria;
- compensa le spese di lite.
Così deciso in Roma, in data 1.6.2018
IL PRESIDENTE
dott.ssa Luciana Sangiovanni